Il ruggito del leone

Carla Masetti Gennaioli galleria immagini

Fondazione Marco Gennaioli - Onlus -Un luogo di ricordi vissuti e di ricordi tramandati, potrei definirla così la “Villa”, con il suo giardino, il parco, il suo sguardo all‘altezza di Anghiari. All’inizio solo il luogo di Gino (Angiolo Gino, mio marito dal 1970) e della sua famiglia, uno di quei posti permeati di storia, di vissuto e di lavoro che poco mi appartenevano, io così impegnata nel mio ruolo di moglie, madre, insegnante, il mio mondo lontano, per certi versi distaccato.

Questi Gennaioli 1, generazioni di uomini ricchi di valori, di cultura, di amore per questa terra, impegnati,attenti, curiosi, pronti alla sfida, il “leone” non poteva che essere il loro simbolo. Quello del bisnonno Angiolo (figlio di un mugnaio) nato nel 1854 – che per le sue doti è considerato il vero capostipite – era posto sulla terrazza che si offre al paese, tra la famiglia e il paesaggio degli uomini, con la zampa che domina uno scudo (oggi non visibile per l’eterno restauro a cui è sottoposto).

Il leone fiero, del fondatore, è lui che dopo aver sposato Giulia Guerri, donna di grande valore, realizza sulla collina che fronteggia il centro storico di Anghiari la “Villa”, sede dell‘azienda agraria di famiglia, la cui fortuna è legata alla coltivazione del tabacco, dei cereali e della vite. Era circa il 1890 e questo primo nucleo fu progettato dall’architetto Francesco Tuti, nel luogo del podere “La Fornaciaccia”, quasi un tramite tra il paese e i retrostanti poderi dell’azienda agricola.
È il 1896 quando nasce Marco Aldo figlio di Angiolo, mio suocero, un leone “moderno”, di cemento con il cuore di ferro, posto in giardino a guardia dell‘ingresso, tra la famiglia e il lavoro. Laureato in scienze agrarie, una brillante carriera nell’ambito del Ministero dell’Agricoltura e Foreste, sovrintende alla conduzione della fattoria paterna sviluppandola con nuovi criteri tecnici. Nel 1929 si sposa con Veronica Petricci, donna generosa mai dimenticata perle sue opere di bene e per la sua religiosità, che si ammalerà dopo la nascita dei due figli.

La proprietà nelle sue mani assume l’aspetto che oggi conosciamo: nel 1939 chiama l’architetto Remo Magrini a cui affida l‘ampliamento della villa, la realizzazione di un villino rustico vicino al cancello principale che verrà adibito a granaio. Intorno un parco, dove a fianco delle specie locali si trovano numerose specie importate – aveva il gusto del collezionismo – un doppio filare di cipressi limite e protezione per il semenzaio: il grande prato dove venivano allevate le piantine di tabacco poi trapiantate nei terreni dell’azienda, a seguire un giardino eclettico tra villa e granaio, arricchito da palme portate dalla campagna d’Africa, infine l’orto per il fabbisogno quotidiano.

La vita porta Ginetta, la figlia maggiore, negli Stati Uniti, dove morirà senza lasciare figli. Gino invece rimane vicino al padre. Quello del mio Gino (nato nel 1932), è il leone di terracotta, posto all’ingresso del grande prato del semenzaio, fecondo di idee e di laboriosità non esibita, un valido avvocato che segue con capacità e passione l’azienda. Uomo gentile, dal fascino indiscutibile, mi ha conquistato con il suo fare discreto. Sicurezza, felicità e vacanze, il suo e il mio lavoro, l’azienda e la famiglia che si allarga, è il 1972: arriva Marco, un altro maschio, un altro leone, questa volta in brillante porcellana bianca 2.

Un lento scorrere del tempo indice di serenità, poi un brusco risveglio nel 1985: prima Gino e a breve distanza mio suocero si spengono. Tocca a me adesso in attesa che Marco cresca.

Finisce un mondo e ne comincia un altro. Le stagioni corrono veloci, il sole non abbronza ma fa crescere le piante, per fortuna sono circondata da amici speciali, tutta la mia famiglia mi sostiene e in modo particolare mio fratello Marino, che pur essendo un Masetti e non un Gennaioli, un leone in “Villa” se lo meriterebbe. Preparo il terreno per questo ragazzo che un giomo sarà uomo e come le piantine nel semenzaio, crescerà in campo aperto. Ma le strade a volte si aprono e si moltiplicano a volte sono impervie, talvolta incompiute. Il lavoro nei campi e gli operai in cantina, i sorrisi e la fatica, tutto lascia il posto al silenzio, all’erba che cresce, alle persiane che sbattono, la villa non è più illuminata dal sole di mezzodì, un cielo cupo pietrifica lo sguardo dei leoni.

È il 1996, Marco ha avuto un incidente, non è più qui, i giorni sono di nuovo lenti, quasi eterni, intorno pensieri e ricordi che non portano lontano. Ma l‘ultimo leone chiede di poter ruggire ancora, mi chiede un ponte per proseguire sulla sua strada, un gesto di memoria attiva nel mondo che lo circondava.

Insieme alla mia famiglia, decido di donare l‘intero complesso alla Fondazione Onlus che porta il suo nome: Marco Gennaioli, il cui statuto prevede all’articolo 2: “allo scopo di dare attuazione, in sua memoria, alle aspirazioni del giovane Marco Gennaioli, per lo studio e lo sport, la Fondazione avrà finalità di ideare, patrocinare e realizzare iniziative rivolte ai giovani in età adolescenziale e post-adolescenziale in condizione disagiate, sotto il profilo fisico, psichico, economico, sociale o familiare e di curare a tal fine l’organizzazione di attività educative, ideare e realizzare progetti di studio, di ricerca e attività, anche di orientamento sportivo, con particolare riguardo alla cultura locale.


 

 

La Fondazione nel 2004 venendo incontro ai propri interessi, e al desiderio della Banca di Credito Cooperativo di Anghiari e Stia di dotarsi di una sede di prestigio, concede a quest’ultima il diritto di superficie. Da qui un’altra storia che parte con un concorso di idee e poi… c’è di nuovo un sole caldo su alla “Villa” e lo sguardo all’orizzonte si perde fino alla confluenza di Romagna, Umbria e Marche.


1La famiglia risulta essere insediata ad Anghiari sin dal XVIII secolo, come si rileva dai registri dell’Archivio Storico Parrocchiale. Santi Gennaioli è il primo di cui si fa menzione.

2Posto in estate sul basamento dove era collocato il primo leone, in inverno per proteggerlo dalle rigide temperature veniva appoggiato sul tavolo di fronte all’ingresso della cucina.